C’è gente davvero forte, nel mondo. Professionisti che hanno creatività, capacissimi nel creare ottimi hook. Tutta la buona musica si basa su un preciso tema, dal jazz sino alla dance. Fanno luce su questo Dean Malton e Dylan Dresdow.
“Si deve avere almeno un ‘giro’ o due in ogni traccia per rendere questa davvero memorabile. E i dj sono bravi a fare anche questo, spesso percorrendo strade molto alternative”. Dagli uffici della Groundloop, dove organizza le produzioni di band e solisti, il canadese Dean Malton parla dello stato odierno della musica elettronica.
Scoprire e valorizzare nuove voci è importante. “Un sacco di cantanti vengono da me per registrare la propria voce. Sono un duro, ottengo quasi sempre il risultato che mi aspetto e che neanche lo stesso artista avrebbe creduto possibile. Le tonalità, i tempi e le fasi sono veramente importanti in fase di post, ma una voce grande, bella, pulita è davvero più credibile. Voglio credere alle parole di chi canta quando vengono interpretate con passione e professionalità. Alcuni chiamano la cosa… cuore o anima. Le grandi voci si registrano col tempo, anche con il cantante più bravo in circolazione”.
Un punto importante: la scoperta di deadmau5. “Joel vagava nel mio studio da quando aveva 16 anni. Stava lavorando con un altro produttore su dei pezzi hip-hop per alcuni ragazzi di Buffalo. Dopo averci parlato un po’, ho scoperto che abitava qui vicino; per i successivi cinque anni Joel era sempre qui. Abbiamo iniziato a frequentarci quando è iniziata la possibilità di registrare su hard disk attraverso i computer: Joel in quel periodo è stato determinante per la manutenzione e lo sviluppo del software e dell’hardware del mio studio di registrazione. Era un pazzo dei computer già allora. Ho imparato molto anch’io da lui”.
Lo studio Groundloop di Dean Malton
Non è facile emergere e stare a galla in questo settore. “Non vorrei sembrare cinico qui, ma la morte della discografia è avvenuta nel preciso momento in cui internet ha raggiunto il suo picco. Come industria, noi siamo riusciti a raccogliere qualche briciola, da allora. Ma se la gente non compra musica dovremo contare sui gadget, sul merchandising, sulle linee di abbigliamento, sui profumi, per fare la fortuna delle rockstar degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta. A loro bastava la musica, a noi no. Ognuno trova un suo modo per andare avanti. Se un pittore non ha alcun pennello, non sarà quello a impedirgli di fare pittura. Faccio musica perché è quello che so fare”.
La regola è che non ci sono regole. “Cambia tutto da progetto a progetto, ma quasi sempre uso una traccia di click per iniziare. Poi registro la strumentazione principale, anche se si tratta di una traccia di prova, e poi una buona voce fantasma. Quando ho il ‘contenitore’ della canzone allora inizio”.
Dietro alla sua scalata di Dylan Dresdow, per gli amici 3D, ci sono nomi come Bob Brown, Dave Pensado e will.i.am. “Ci sono troppi generi e sottogeneri nell’EDM per tenermi al passo coi tempi”. Taglia corto, così, il responsabile dell’impeto sonoro delle produzioni dei Black Eyed Peas. Nato in Florida, ha frequentato un corso di Arte di Registrazione presso la Full Sail University. Oggi Dylan vive a Los Angeles e lavora presso gli Enterprise Studios. Nel 2006 ha fondato un proprio studio, il Paper VU, nel quale hanno inciso i propri lavori Ice Cube, Missy Elliott, Wu-Tang Clan, Michael Jackson, Nas, Common, Chris Brown, Usher, Flo Rida e ovviamente The Black Eyed Peas. Dylan ha suonato la batteria incidendo il suo primo nastro demo all’età di 13 anni. Quando si è trasferito a Los Angeles, la prima cosa che ha fatto è stato fare un mix su un pezzo di Isaac Hayes.
Dylan Dresdow in studio
“L’importante è che la musica dance elettronica non s’imbastardisca e abusi o annacqui troppo il mainstream. Amo il mondo dei dj. Gli strumenti a disposizione hanno reso più semplice fare un brano per il clubbing. Mi piacerebbe vedere i produttori andare oltre un semplice loop e un quarto di groove di percussioni. Mi sono spesso dilettato anche come dj, sono nato con il suono di Portishead e di Bjork, e come batterista in alcuni gruppi invece anni fa. Produco raramente e questo solo per ricordarmi a me stesso quanto sia importante restare seduti sulla sedia da producer. Bisogna capire sempre cosa ha in testa chi viene nel tuo studio a realizzare un brano”.
Dylan crede molto nei professionisti che investono in un genere e che circolano nell’ambiente dei festival. “Io ho mollato la dance negli anni Novanta perché trovavo che veniva frequentata solo da pressapochisti e dilettanti. Il nuovo rap, il nuovo hip-hop, oggi è in mano ai dj, almeno qui negli Usa. Senza ‘re-invenzione’, la musica si trasforma in un sola mediocrità, in sola noia. Quando qualcosa è spenta, demotivante, non mi interessa il buzz che la circonda. È come dire a un pittore specializzato in colori arancio che la tinta che va per la maggiore è il rosso. Io seguo il mi istinto. Un sacco di produttori che conosco non sono in grado di leggere uno spartito. Vorrei che esistesse qualcosa che possa agevolare il loro lavoro. A questo punto, ma solo a questo punto, l’uomo medio sarebbe libero di esprimere la propria visione musicale”.
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